L'orientamento nelle scuole secondarie di II grado
METODICA
PER L’ORIENTAMENTO FORMATIVO IN AMBITO DISCIPLINARE - Scuole secondarie di II grado
(Prof.
Davide A. Leccese)
Questa conversazione, ad
uso della formazione dei docenti, ha, come titolo, METODICA PER L’ORIENTAMENTO FORMATIVO IN AMBITO DISCIPLINARE, e, come
sottotitolo, “Didattica delle discipline con valore orientativo”. La visuale
dell’intervento è l’orientamento in itinere a favore degli studenti delle
scuole secondarie di II grado, in vista del loro passaggio all’università.
Risulta
evidente, dal titolo e dal sottotitolo, che ci rivolgiamo ai docenti perché
avvertano l’importanza dell’orientamento non come impegno o tecnica esterna
alla quotidiana azione didattica in classe, fuori della relazione formativa. Azione
didattica e relazione formativa che costituiscono il nucleo essenziale del
rapporto tra docente e alunni, tra scuola e nuove generazioni.
La
capacità di essere “orientatori” dipende dalla formazione; nessuno s’illuda
che si possa procedere – in questo campo – con improvvisazione o
comportamenti occasionali. La professionalità docente richiede che – per
essere orientatori – si devono possedere le conoscenze teorico-pratiche di
ampio e preciso profilo, soprattutto in una società complessa, come quella
attuale, che non fa sconti ai giovani, nella prospettiva della scelta degli
studi – superiori e universitari – in vista delle professioni cui si aspira.
Quando,
quindi, dicevamo che l’orientamento opera all’interno dell’attività didattica
quotidiana e disciplinare, intendevamo sottolineare proprio la funzione
orientativa delle materie d’insegnamento. Ogni materia – nessuna esclusa –
costituisce la piattaforma del pensiero rigoroso e dell’agire consapevole per
le competenze, da investire poi, nello schema specifico degli studi
settoriali scelti, soprattutto negli studi universitari.
La vita orientata: Iniziamo questo percorso partendo da un’immagine
che potrebbe apparire scontata e ripetitiva: la vita è un lungo viaggio nello
spazio e nel tempo. Le generazioni lo affrontano in epoche diverse,
precedendosi o seguendosi.
Chi
viene prima ha il diritto/dovere – in un contesto sociale – di fornire gli
elementi di comprensione del viaggio e gli strumenti (fisici – mentali – affettivi)
che aiutino chi viene dopo ad inserirsi nei luoghi e nei tempi che saranno –
di volta in volta – il suo “vissuto”.
Trasmettere/insegnare
per il ricevere/apprendere è la base della vita in DIREZIONE DI….
Ecco
perché parliamo di “progetto orientativo”: Tale trasmissione – al mutare dei
luoghi, dei tempi e degli stili di vita – non può essere uno schema/fotocopia
del passato verso il presente e il futuro ma deve adeguarsi al massimo
rispetto del PROGETTO di ogni persona; progetto contestualizzato al suo vissuto umano e sociale
ma aperto ad una identità in fieri.
Il
progetto di ogni persona, non un progetto con posologia generalizzata, una
sorta di panacea a diffuso e aspecifico effetto. Ogni alunno ha già una sua
microstoria da narrare e una storia da costruire, nella specificità
avventurosa della sua vita e delle sue aspirazioni.
Qual
è il richiamo di ogni nostro alunno, espresso o non esplicitamente
pronunciato? Aiutami ad orientarmi, fai sì che io sappia disegnare la mappa
del mio percorso, non darmi una mappa preconfezionata che io ho difficoltà a
riconoscere come il mio cammino, come la strada giusta che posso e devo
percorrere.
“Per
me”, dice ogni alunno. Vuole un messaggio personalizzato, vuole non essere un
numero sul registro, un “qualsiasi” a cui parlare. La sua strada, la sua
fatica di camminare, il suo traguardo da raggiungere.
Detto,
con un altro paragone simbolico, si tratta di centrare l’obiettivo, mirare al
cuore delle possibilità delle proprie capacità e delle proprie prospettive.
Insomma, saper mirare senza mano incerta e sguardo offuscato da conoscenze
incerte e abilità improvvisate.
Sgombriamo
subito il campo da un pericoloso equivoco: l’orientamento non è un intervento
predicatorio, orchestrato su proclami retorici alle responsabilità della
vita, al futuro ricco di prospettive facilmente raggiungibili. La cultura è
la struttura forte dell’intervento orientativo; cultura calata nel rigore
delle materie d’insegnamento e nelle conoscenze apprese. Studio continuo,
serio, impegnativo. Questo è orientamento.
Perché si raggiunga il risultato auspicato è
necessario che tra docenti e alunni si stabilisca un chiaro patto formativo da
cui non sono esclusi i genitori, la famiglia. Patto chiaro e vincolante.
Il
patto formativo è anche PATTO SOCIALE nel senso che il contesto sociale,
istituzionale, territoriale si fanno carico delle opportunità concrete di
partecipazione alla formazione delle nuove generazioni, mettendo a
disposizione le loro “ricchezze” perché la scuola e la famiglia possano
produrre effetti educativi, formativi e istruttivi, facendo dell’orientamento
scolastico un imprescindibile orientamento alla cittadinanza attiva
A
questo punto la domanda è d’obbligo: l’orientatore è orientato? La domanda
mira a generare la consapevolezza improcrastinabile che, per essere
orientatore, il docente deve essere orientato, deve sapere qual è il suo
percorso professionale, dove affonda le sue radici di educatore e di
formatore. Deve, in fondo, mettere in crisi le certezze comode che basta
affidarsi al tran tran della quotidianità in classe, dello svolgersi del
programma così come da sempre corre l’insegnare e l’apprendere.
Una
scuola di qualità decide di impostare percorsi orientati ed orientativi.
Bene. Ma saranno iniziative aggiunte alle tante che la scuola programma o
dovrà essere un modo nuovo e coraggioso di essere scuola? E’ necessario
precisare e chiarire che, invece di pensare ad una scuola quantitativamente
impegnata, la scuola s’imposta come qualitativamente connotata; insomma non
tanto “più scuola” ma soprattutto una “scuola più”.
Prima
abbiamo accennato ai programmi, a quell’insieme organico degli insegnamenti,
formalizzati in percorsi di conoscenze, competenze e abilità. Insegnamenti istituzionali
che comunque restano l’ossatura del “fare scuola” in classe.
Ma
ogni docente sa bene che i programmi costituiscono, appunto, l’insieme delle
conoscenze, delle competenze e delle abilità da impegnare in ulteriori
conoscenze, competenze e abilità da conseguire negli studi successivi e, poi,
nella vita lavorativa e professionale di ogni alunno. In questa maniera i
programmi sono orientanti.
Solo
in questa maniera la tanto decantata azione di ricollocamento della scuola al
centro del progetto-società sarà realizzata. Una scuola che s’impone come
terreno fertile per la cittadinanza attiva, competente e consapevole; una
società che non coltiva illusioni ma neanche si assume la grave
responsabilità della delusione per promesse mancate con precipizi sulla
strada del futuro dei giovani.
Abbiamo
citato la società; ma come si presenta oggi la società?
ü La società
si presenta oggi ricca di una molteplicità di opzioni lavorative e professionali.
ü Proprio
questa molteplicità, che accompagna le mutate e aumentate esigenze della
vita, genera complessità e rischia di creare l’ANSIA DELLA SCELTA e DELLE DECISIONI.
ü Il sistema
formativo ha il compito – delicato e difficile – di “accompagnare” la persona
nell’assunzione di consapevolezza del suo ruolo e nell’acquisizione delle
conoscenze, competenze e abilità spendibili nel futuro lavorativo e professionale.
ü L’acquisizione
delle conoscenze, competenze e abilità
non soddisfa in toto la motivazione dell’apprendere se non è preceduta
dall’assunzione di responsabilità verso il proprio destino umano e
professionale.
ü Spetta quindi all’ORIENTAMENTO agire in
consonanza con tutta la persona in modo che avverta il suo impegno come
coinvolgimento pieno e responsabile nella sua storia.
Un
accenno lo abbiamo fatto al docente orientatore, affermando che per orientare
occorre essere orientati; per essere orientati occorre formarsi in percorsi
di abilità professionali specifici e rigorosi.
Questo
perché:
ü Il DOCENTE ORIENTATORE si colloca
al punto cruciale degli snodi motivazionali
• istruttivi
• formativi
• educativi
ü Il DOCENTE ORIENTATORE
• lavora didatticamente con gli strumenti
della sua disciplina
• lavora didatticamente utilizzando le
curvature d’intreccio con le altre discipline
• lavora didatticamente fondendo – nel
rispetto della specificità dei tempi e dei ruoli – insegnamento e apprendimento
• non perde mai di vista l’orizzonte dello
sviluppo armonico della “persona-studente”
E’
bene precisare che:
ü L’ORIENTAMENTO
non è “schiavizzato” all’acquisizione di conoscenze/competenze al solo uso
professionale
• sarà la persona formata a decidere – in una
con le opzioni cercate e offerte – come impegnarle
ü Il DOCENTE ORIENTATORE mira a generare – con
l’insegnamento – nello studente
• la consapevolezza-realizzazione di sé
• la consapevolezza del mondo
Esplicitiamo
questa affermazione: Una volta si diceva che non si apprendeva per la scuola
(soltanto) ma per la vita. Oggi è necessario affermare che, apprendendo per
la scuola, si deve apprendere per la vita, si deve far tesoro di quelle mappe
della conoscenza che poi dovranno portare alla scoperta di ulteriori
conoscenze nella propria vita professionale.
Ritorna
la domanda: L’orientatore è orientato?
La
domanda ritorna perché:
Ci
apprestiamo ad orientare i giovani ma ci interroghiamo sul DISORIENTAMENTO,
umano e professionale, dei genitori e dei Docenti?
Fino
a che punto la crisi generale d’identità degli adulti non ricade sulla crisi
dei giovani di oggi?
Può
un orientatore non interrogarsi prima sul suo “status” e affrontare in
maniera neutra il compito che gli è stato affidato?
Solo
così possiamo parlare di Orientamento responsabile.
Per
poter ORIENTARE occorre avere la consapevolezza rigorosa della propria
condizione e delle reciproche prospettive.
Per
quanto riguarda i DOCENTI si tratta di avere la consapevolezza della RESPONSABILITA’
DI RUOLO; ruolo non solo di chi favorisce la conoscenza ma anche la
costituzione di personalità nelle nuove generazioni.
Cominciamo
ad entrare nello specifico dell’orientamento scolastico.
ü Per poter
ORIENTARE occorre avere la conoscenza – non “per sentito dire” – sia del
sistema formativo universitario che del complesso mondo del lavoro e delle
professioni.
ü Si
evidenzia, invece, una grave frattura, nella scuola italiana, tra segmento
formativo scolastico e sistema formativo universitario e mondo del lavoro e
delle professioni.
ü La
“frattura” è evidenziata
• Dalle
competenze disciplinari in uscita dal sistema scolastico
• E dalle
competenze disciplinari in ingresso nel sistema universitario
Domanda:
Quando sistema scolastico e sistema universitario s’incontreranno per
definire – nel reciproco interesse formativo – un pannello delle conoscenze
che favorisca la progressione del sapere, pur nella specificità degli
originali sistemi in progress?
E’
il momento di approfondire la questione del rapporto tra scuola e società; questione
che abbiamo lasciato sotto traccia ma che è sempre presente nella nostra
riflessione sull’orientamento scolastico e professionale.
ü La società
si caratterizza oggi con una molteplicità di opzioni, sia personali che
collettive.
ü I diffusi e
frequentati livelli di istruzione consentono alle nuove generazioni di
cimentarsi in “progetti di vita” ricchi e insieme complessi.
ü La scuola –
come sistema istituzionale dell’ istruzione e della formazione – deve tener
conto di questa molteplicità e di questa complessità.
ü La
molteplicità e la complessità del sistema sociale, richiamano in causa la
cultura – la civiltà e l’istruzione:
ü L’istruzione
e la formazione devono poter contare su BASI SOLIDE e APPLICAZIONI FLESSIBILI
ü I patrimoni di cultura e di civiltà di un
popolo restano i riferimenti di base della formazione dei giovani ma con
apertura curiosa, critica e disponibile ai patrimoni di cultura e di civiltà
forniti dalla mondialità.
È
necessario fare una riflessione – sia pure come accenno – alla “mondialità”
per quanto riguarda la sfera dell’istruzione e della formazione.
Siamo
pieni di mondo; tocca a noi se essere aggrediti o partecipi della mondialità,
conservando, come preziosa, la dimensione del mio territorio – come radice –
e dell’orizzonte che ci accompagna oramai come condizione di quel viaggio che
ogni giorno ci attende e che attende soprattutto le nuove generazioni.
Come
coniughiamo l’istruzione nella pratica attuazione dell’azione scolastica in
funzione orientativa?
· Le materie
d’insegnamento sono “strategie di pensare e di agire” che, attingendo a quei
patrimoni, risaldano il passato con il presente e si aprono al futuro.
· I soggetti
che apprendono non sono da considerare meri “contenitori di conoscenze” ma
protagonisti di apprendimento.
· I
“contenuti”, pur imprescindibili ai fini dell’istruzione e della formazione,
non sono il fine ultimo dell’apprendimento, senza che si finalizzino i contenuti stessi.
Attenzione,
però: le materie d’insegnamento – come strategie del pensare – non possono,
anzi, non devono ridursi a un pacchetto solido e scisso dai problemi che la
società pone al pensiero e ai sentimenti umani perché – come sostiene Mario
Arcelli, nel suo testo su “La globalizzazione” - proprio dalla capacità
di concepire con larghezza di orizzonti la nuova società mondiale dipenderà il benessere di molte generazioni
che seguiranno”.
Ecco
che allora la conoscenza si connota come “sguardo sul mondo”; sguardo sul
mondo non solo come luogo di orizzonti ma come elemento pulsante della vita.
Approdiamo
allora alla “società della conoscenza”; società della conoscenza che è il
terreno fertile dell’orientamento.
ü La conoscenza:
solo se è connotata da socialità genera una comunità di “conniventi”
(vivere-cum)
ü La conoscenza
: solo se è connotata da connivenza genera una comunità di “consapevoli”
(cum-sapio)
ü La conoscenza:
solo se è connotata di consapevolezza genera “cointeressenza” (cum-interest)
ü Ancora:
• fine a se
stessa è destinata a finire miseramente
• finalizzata
solo al limite di “a che mi serve?” è inservibile
• senza
confini “fluidi”, fissa i suoi limiti
• se non
sconfina nella consapevolezza, si affievolisce in infiniti equivoci
conoscitivi
E.
facendo riferimento a una precedente affermazione, la domanda orientativa di
base non è tanto “a che mi serve” ma “che ci sto a fare io qui, nella scuola,
nella società, nella vita?”
Affidiamo
ora a Francesco Digiacomoantonio una interessante riflessione sulla
“ricerca di senso” dell’apprendere orientativo: Nella società contemporanea,
ormai pienamente e oltremodo invasa dal progetto della modernità, un problema
con cui sempre più esseri umani sono chiamati a confrontarsi è quello del senso. Il senso della realtà divenuta sempre più articolata, a
causa delle evoluzioni scientifiche, tecnologiche, economiche e politiche; il
senso delle relazioni sociali e della loro definizione e
organizzazione, accresciute infinitamente dalle possibilità dei mezzi di
comunicazione; il senso dello spazio
e del tempo e del
modo in cui è possibile organizzarlo; il senso del sapere che
influenza il modo di interpretare e distinguere tra vero e falso, giusto e
sbagliato; il senso dell’identità derivata dall’influenza di tutte
queste relazioni”.
Come
vivono i giovani questo coacervo di condizioni della società contemporanea? Galimberti
ci avverte che: “l’emancipazione ha forse affrancato i nostri giovani dai
drammi del senso di colpa e dallo spirito d’obbedienza, ma li ha
innegabilmente condannati al parossismo dell’eccesso e dell’oltrepassamento
del limite. Per cui genitori e insegnanti non sanno più come far fronte
all’indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione
che li isolano nelle loro stanze a stordirsi le orecchie di musica,
all’escalation della violenza, allo stordimento degli spinelli che
intercalano ore di ignavia. Tutti questi sintomi sono iscrivibili, come
scrive il filosofo francese Benasayag: «nell’oscurarsi del futuro come
promessa e nell’affacciarsi di un futuro come minaccia»”.
“Di
fronte a questi ragazzi, che inconsciamente avvertono l’incertezza del
futuro che li induce ad attardarsi in una sorta di adolescenza
infinita, resta solo da dire a genitori e professori: non interrompete mai la
comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri figli o i
vostri studenti facciano. A interromperla ci pensano già loro e, come di
frequente ci dicono le cronache quotidiane, anche in maniera distruttiva”.
Ritorniamo
sulla preparazione del docente orientatore. Dobbiamo purtroppo constatare
che:
ü La gran
parte dei docenti attuali è stata formata dalla “vecchia scuola” che – ai
suoi tempi – non era una “scuola vecchia” ma adeguata ai tempi di allora.
ü La gran
parte dei docenti non ha un aggiornamento professionale adeguato alle
continue e sempre più complesse esigenze della didattica .
ü La gran
parte dei docenti non ha acquisito, in sede di formazione universitaria,
competenze pedagogiche, psicologiche e di metodologie didattiche
Eppure
la scuola, in generale, e i docenti – nello specifico – sanno che è
fondamentale la definizione di identità professionale; ma
ü Il percorso
formativo, non è finalizzato
specificamente alla funzione docente orientativa
ü Il sistema
di selezione è pericolosamente incerto
ü Il posto di
lavoro è altrettanto incerto e fluttuante
ü Ancora e
peggio ancora:
ü E’ debole la
considerazione sociale dello “status”
ü E’
inadeguato il livello retributivo
La
debole considerazione sociale del ruolo ha, come substrato, l’altrettanto
sottovalutata considerazione della CULTURA, se è vero – come è vero – che
tutte le volte che si deve ridurre investimenti e finanziamenti, sono proprio
la Cultura e la Ricerca scientifica a farne le spese.
Gli
“addetti alla formazione” – allora – sono considerati nell’alveo della
sottovalutazione della Cultura perché non è “monetizzabile” il risultato del
loro impegno.
Bisogna
riconoscere che molti docenti rispondono alle carenze colpevoli del sistema
formativo con un supplemento personale d’impegno di studio e di formazione. Altri
invece si adagiano nel terreno della sopravvivenza.
ü Mancano nei
docenti competenze nel campo dell’organizzazione e della programmazione del
lavoro scolastico
ü Una parte
dei docenti si trincera nel “nazionalismo disciplinare” (ogni disciplina
agisce disgiunta dalle altre)
ü E’
preminente – nella didattica – il sistema routinario (spiegazione –
interrogazione – compiti…)
Ma
questa carenza formativa del docente è tutta colpa del docente o non è una
scarsa e irresponsabile visione della dignità della professione docente del
sistema?
Illuminanti
risultano le considerazioni di Domenico Starnone, l’Autore di molti
testi sulla condizione dei docenti e della scuola. Scrive Starnone: “La
storia della nostra scuola è innanzitutto la storia della miseria degli
insegnanti. Miseria dal punto di vista economico, ma anche formativo e
culturale. Ci sono saggi che raccontano come i primi insegnanti dell'Italia
unita, facevano l' insegnante e il calzolaio, l' insegnante e il
sarto, l' insegnante e il sacrestano. In parole povere il doppio lavoro era
congenito alla figura dell'insegnante. L'insegnante prendeva quattro soldi e
così doveva tirare avanti, i suoi compiti erano molto ridotti, doveva
insegnare a leggere, scrivere e a far di conto. Ridotti per modo di dire, ma
lo Stato li considerava compitini”
Ecco
allora la necessità di ricollocare la scuola al centro del progetto società,
come ripetiamo quasi ossessivamente.
E’
giunto il momento di calare la nostra analisi nello specifico dell’azione del
docente parlando della didattica: a che serve la didattica?
Prendiamo
in prestito una riflessione di D’Amore e Frabboni: “Le didattiche disciplinari innanzitutto
studiano i rispettivi programmi e le strategie di apprendimento delle singole
materie scolastiche. Una disciplina disciplinare non può ignorare le
indicazioni tecniche e metodologiche che provengono in particolare dalla
didattica generale (ma anche dal complesso delle scienze dell’educazione),
così come non può ignorare oggetto, metodi e finalità della disciplina di
riferimento, la quale va continuamente considerata. Come osserva ancora
Franco Frabboni le didattiche disciplinari dispongono di <<propri
occhiali epistemologici: ermeneutici, investigativi e di formalizzazione
teorica, mutuati prevalentemente dagli statuti delle loro
discipline/madri>> (D’Amore, Frabboni, 1996)
Mauro Laeng ha
osservato che “…la didattica sia la teoria della corrette ed efficace pratica
di insegnamento: teoria, quindi
riflessione ragionata, che tende a un assetto sistematico; ma teoria avente
per oggetto uno studio di pratica,
e quindi che muove dall’esperienza. La pratica in questione è quella che
concerne l’insegnamento. (Laeng,
1982)
Prima
abbiamo affermato che l’orientamento non è un’attività aggiuntiva alla
didattica ma è la didattica che è pienamente orientativa. De Vecchi e Staluppi
sostengono che: “E’ tuttavia
indispensabile proporre nuove idee, modelli e strategie, trovare il modo più
adeguato possibile di interpretare e trasmettere sul piano dell’insegnamento
i progressi della ricerca, di caricare di valori le acquisizioni
scientifiche, non soltanto quelle nuove, ma anche quelle tradizionali e
consolidate che vanno riviste alla luce delle diverse esigenze dei giovani e
della società”.
Il
che comporta che la didattica sia profondamente rinnovata, se vorrà essere
orientativa, puntando a:
a.
Obiettivi, cioè traguardi (di conoscenze e di abilità)
che devono essere raggiunti dagli allievi
b.
Stato iniziale (conoscenze e abilità già
conosciute dallo studente) e individuazione dei prerequisiti
c.
Condizioni per il passaggio dallo stato iniziale a
quello voluto attraverso la formulazione degli obiettivi
d.
Valutazione dei risultati a breve e lungo termine
per la verifica del progetto
A
questo punto possiamo porci la domanda: Perché rinnovare la didattica? Perché
il contesto sociale di riferimento è in continuo cambiamento. Ci poniamo,
quindi, queste conseguenti domande:
a)
Possiamo continuare a pensare il mondo come una
realtà unica ed indivisa?
b)
La “globalizzazione” facilita o rende più ardua la
comprensione del mondo?
c)
Quanto la complessità della realtà tutela l’identità
della PERSONA?
d)
La scuola può continuare a considerarsi un tutto
stabile ed indiviso?
e)
Dobbiamo prendere atto e tenerne conto nella
nostra azione orientativa, che:
I.
la cultura si confronta con l’ampliarsi dei
confini del mondo conoscibile e rompe le graduatorie finora ritenute stabili
a-priori, tutte a favore delle “culture dominanti”
II.
Si riscrivono non solo i codici interni alle
conoscenze ma anche i codici interpretativi delle relazioni tra le varie
culture
III.
Si ripercorre il passato per individuare i passaggi
saltati e fraintesi
Possiamo
ancora affermare che le materie d’insegnamento – prima chiuse nel “nazionalismo
disciplinare” sono costrette ad aprirsi a nuove organizzazioni disciplinari integrate
(bio-etica, psico-linguistica, musico-terapia, ecc.)
Non
possiamo girare attorno a un problema delicato: scuola e società viaggiano su
due binari distinti e talvolta lontani; solo se facciamo coincidere o almeno
riavvicinare le tessere della realtà e
le tessere della conoscenza, il pensare diventa un pensare operativo e
verificato sugli esiti delle conoscenze.
Non
è possibile che valgano ancora alcuni parallelismi di convenienza per cui si
dice: “Impara e poi si vede” sull’uso
delle cose che impari.
Solo
facendo incontrare, senza cedimenti o confusione di ruoli, scuola e società,
è possibile dar senso alla domanda – posta da ogni giovane – “che cosa farò
da grande?”
Torniamo
alla domanda-cardine: che significa orientare?
ü Avere un
punto di riferimento per individuare il miglior percorso per il raggiungimento
di una meta
ü Scegliere
tra varie alternative, sia di punti di riferimento che di percorso, in relazione
al punto di arrivo
ü Avere a
disposizione mezzi e strumenti per: individuare – scegliere – agire
Se
questo significa orientare, qual è il compito dell’orientatore?
ü La prima
forma di azione orientativa è nella capacità di individuare le
caratteristiche personali del soggetto da orientare
ü Il docente
orientatore accompagna ma non si sostituisce al soggetto da orientare lungo
il cammino verso la meta
ü Il fine ultimo
dell’insegnamento non è tanto insegnare “cose” ma insegnare ad imparare
perché il soggetto sia disposto ad imparare lungo tutto l’arco della vita.
Le tappe
orientative:
·
Progettare il viaggio
·
Programmare il percorso
·
Organizzare le strategie di viaggio
·
Viaggiare a tappe
·
Avere sempre, come riferimento, la meta
Come si fa una
scelta?
•
Fare la scelta giusta
•
Fare la scelta consapevole
•
Analizzare i pro e i contro
•
Saper distinguere tra ideali e velleità
•
Saper distinguere tra vocazione e utilitarismo
Per
poter orientare e, quindi, per saper orientarsi occorre avere chiari i
contesti orientativi di base, a cominciare da un’idea precisa e costruttiva
del proprio sé, con riferimento al contesto sociale, al contesto familiare;
in questo s’innesta il percorso scolastico. Il tutto in un orizzonte di
riferimento che apra prospettive di valorizzazione delle proprie capacità e
dei propri intendimenti.
Analizziamo i
contesti: Chiariamo subito che, quando parliamo di “contesti”, non
intendiamo ingabbiare le prospettive, le aspirazioni e le possibilità di
realizzazione ma intendiamo stabilire dati obiettivi di cui tener conto, per
i vantaggi o gli svantaggi che presentano. La scuola ha il dovere di
potenziare le opzioni (positive) e limitare gli ostacoli.
Parlavamo
del proprio sé: esplicitiamone gli aspetti connotativi:
• chi sono?
• chi voglio
essere?
• chi posso
essere?
• Quali sono i
miei interessi?
• Come so
leggere la realtà?
Quindi
l’analisi del percorso scolastico, uscendo fuori dallo schema artefatto del
programmare artificioso, ponendoci domande che diano senso alle nostre
capacità di orientarci:
•
Conosco la scuola che frequento?
•
La scelta è stata motivata e informata?
•
Quali prospettive di formazione mi offre?
•
Quali prospettive di prosecuzione degli studi?
Il
contesto della famiglia:
• Cosa si
aspetta da me la mia famiglia?
• Cosa mi
aspetto io dalla mia famiglia?
• I miei
genitori hanno predeterminato la mia scelta?
Il contesto sociale
• Lo spazio
del mio “vissuto” mi aiuta nella mia formazione?
• Come vivo la
realtà del mio contesto sociale?
• Intendo
restare, in futuro, in questo contesto o no?
• Sono
consapevole delle opzioni occupazionali che mi offre?
.
Consideriamo
contesti orientativi di base quelli che rispondono a queste domande:
L’orizzonte di riferimento
Se
intendo restare nel mio contesto, come intendo aprirmi a contesti più ampi?
Il
mio orizzonte di riferimento è strettamente professionale o non anche culturale?
A
che serve la scuola?
Le conoscenze, le competenze e le abilità si
conseguono con lo studio delle materie (ambiti disciplinari che condensano i
saperi)
La scuola è formativa se è VISSUTA e VIVIBILE
La “dipendenza” dell’apprendimento
dall’insegnamento progressivamente si riduce a mano a mano che l’alunno “impara
ad imparare” per apprendere lungo tutto l’arco della vita.
LE
MATERIE D’INSEGNAMENTO
Costituiscono percorsi specifici e definiti di
conoscenze e fanno appello alla cultura che si è consolidata nel corso dei
tempi di una civiltà
La specificità e la definizione non significano la
“separazione” in quanto ogni ambito di conoscenza chiama in causa altri
ambiti, direttamente o indirettamente correlati.
Ogni materia di insegnamento-apprendimento è ORIENTANTE
se rimanda alle altre materie in funzione di un’organica comprensione della
realtà
Interdisciplinarità: Collaborazione
fra discipline diverse o fra settori eterogenei di una stessa scienza (per
addivenire) a interazioni vere e proprie, a reciprocità di scambi, tale da
determinare mutui arricchimenti» (J. Piaget)
Pluridisciplinarità:
Si
verifica quando, per studiare un "oggetto" (un fatto, un fenomeno,
od altro) o risolvere un problema, lo affrontiamo da più punti di vista e ci
avvaliamo, quindi, di più discipline, ciascuna con le sue metodologie e le
sue procedure. Occorre sempre pensare che la realtà è costituita di
"oggetti" e che le discipline sono astrazioni, esito di quelle
operazioni mentali che gli uomini hanno costruito nel corso della loro storia
per padroneggiare la realtà ed asservirla ai fini della sua sopravvivenza.
Si
ha la pluridisciplinarità quando esperti di diverse discipline intervengono,
ciascuno per la sua parte con i suoi referenti e i suoi metodi, all’analisi e
alla soluzione di un problema. Nella pratica scolastica, si ha la
pluridisciplinarità quando lo stesso oggetto (ad esempio, il fenomeno
Napoleone) viene affrontato sotto più profili (politica, economia, diritto,
tecnica militare, letteratura, scienze e tecnologie, e quant’altro), profili
che possono aumentare o diminuire a seconda dei limiti e dei fini della
ricerca. (fonte RAISAT – Esame di Stato)
Multidisciplinarità:
I
Contenuti, configurabili nell’ottica multidisciplinare, consentono di risolvere un problema
attraverso l’ausilio di informazioni relative a più discipline che di fatto
non conseguono un effettivo profitto, perché la sintesi non produce
nascita di un’altra disciplina più ricca e più globale.
Si
ha quando una disciplina nella sua attività di esplorazione, di studio, di
soluzione di problemi, si avvale necessariamente di un’altra. E la casistica
è ricchissima: un fisico non può fare a meno del calcolo o della geometria o
della grafica per la rappresentazione e per la soluzione di un dato problema;
uno storico non può fare a meno del calcolo e della geografia per la collocazione
dei fatti storici nel tempo e nello spazio.
Ed
ancora, qualsiasi specialista (un chimico, un biologo, ecc.) nel
rappresentare gli esiti di una sua ricerca, non può fare a meno di padroneggiare
una lingua e di avvalersi di tabelle, di grafici, di elaborazioni
statistiche. I campi possono anche estendersi a dismisura; comunque, ciascuna
materia, o disciplina, deve sempre utilizzare strumentalmente, o
veicolarmente, i processi logici del calcolo e quelli della informazione verbale.
(fonte RAISAT – Esame di Stato)
La
transdisciplinarità
Come
dice la parola stessa, la transdisciplinarità si situa al limite stesso di
una singola disciplina. Se si pensa che le discipline non sono dei corpi di
saperi conclusi e definiti in se stessi, ma nascono, si sviluppano e muoiono
come qualsiasi altra cosa, si comprenderà – e questo grazie anche alle
ricerche epistemologiche – come, soprattutto in questi ultimi anni, alcune
discipline si siano dissolte ed altre siano nate ed altre ancora ne nascano
giorno dopo giorno.
Quando
discipline diverse e distinte si aggregano e si integrano in un nuovo sistema
di quadri concettuali e di saperi fino a perdere l’originaria identità ed a
crearne una nuova, si ha la transdisciplinarità. E non è un caso che negli
ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di scienze del tutto nuove, quali
le neuroscienze o le biotecnologie e tutte quelle discipline che, a ragion
veduta, si dicono di frontiera.
Dal
“nazionalismo” disciplinare all’integrazione dei saperi
Perché
abbiamo trattato di questo sistema integrato tra le varie discipline? Ecco svelato
il senso di questa dettagliata analisi: la scuola insegna con lo specifico
disciplinare ma deve generare la capacità di integrare i saperi nella
prospettiva di una visione del mondo funzionale alla consapevolezza dell’uomo
e della sua realizzazione in quel mondo.
Possiamo
fare a meno di alcune materie?
Il
nostro sistema scolastico, a differenza di quello di altri Paesi, è caratterizzato
da una quantità significativa di materie d’insegnamento. Rispondiamo alla
domanda iniziale: potremmo fare a meno dell’attuale catalogazione degli argomenti
nelle attuali materie ma non dobbiamo mai rinunciare all’analisi delle
questioni culturali e scientifiche nella stessa catalogazione e nelle stesse
materie racchiuse. Tutti avvertono la necessità di “ridisegnare” gli ambiti
disciplinari delle materie scolastiche, distinguendo e accorpando in base
alle mutate e ampliate riflessioni culturali sulle materie stesse.
Evitare
la voglia di “abbandono”
Alcuni
studenti, presi dalla voglia di schierarsi subito a favore della presunta
definitiva scelta di indirizzo futuro di studio, “abbandonano” o
affievoliscono lo studio delle materie di quegli ambiti che ritengono “non
necessari” a quei futuri studi. Niente di più errato e pericoloso: la
preminenza di interesse e di attenzione non dovrà mai significare
l’isterilimento delle altre competenze e conoscenze che in ogni professionista
costituiscono bagaglio collaterale, fungibile per le competenze di settore.
Non
si può fare a meno di saper….
1.
LEGGERE
2.
SCRIVERE
3.
FAR DI CONTO
Attribuendo, a queste competenze di base, un significato diverso e
attuale rispetto a quello originario, legato all’analfabetismo:
1.
Continuo arricchimento
delle proprie conoscenze
2.
Saper usare
correttamente tutti gli strumenti della comunicazione
3.
Sapersi cimentare nell’ambito
delle conoscenze e competenze scientifico-logico-matematiche.
Rapporto tra le
discipline
La
scuola insegna con tutta la scuola e l’insegnamento delle varie discipline –
pur con statuto epistemologico distinto – concorre alla formazione integrale
della persona arricchendone le capacità di:
Pensare
Agire
Avere emozioni e sentimenti
Ogni disciplina d’insegnamento ha un suo
“specifico” ed insieme agisce, rispetto alle altre materie, in funzione di
“prestito”.
L’insegnamento
di Lingua italiana presta competenze comunicative a tutte le altre
discipline, agendo sia come apprendimento della lingua (struttura di
base della comunicazione) che come linguaggio (sistema di segni
adoperati nella normale comunicazione)
Nel
rapporto tra le discipline è necessario ribadire che le stesse devono
tutelare la loro specificità. Facciamo, quindi, appello all’EPISTEMOLOGIA: Si occupa dei fondamenti delle diverse
discipline scientifiche à Interrogarsi su cosa sia – di
per sé – una disciplina.
RICERCA
DI “SENSO”
Ogni
apprendimento presuppone l’aver posto, a fondamento di ogni conoscenza, la
ricerca di “senso” della propria vita; senza questo fondamento si rischia o
la dispersione della propria identità o il prevalere della parcellizzazione
in risultati attesi di carattere precario à illusione à delusione.
LA
SCUOLA PER…
Saper
comunicare
parlare
leggere
scrivere
Saper
far di conto
Interpretare
e gestire i segni e i simboli
“Gustare”
i suoni, lo spazio
Interpretare
– provando – le emozioni e i sentimenti
Decidere
come agire sui problemi in cerca di soluzioni
LA
LINGUA ITALIANA
comunicazione,
testo, tipologie testuali,
scritto/ parlato,
varietà linguistiche,
lingua/linguaggi,
lingua/dialetto,
lingue speciali/settoriali/professionali
storia della lingua
..
PARLARE…COMUNICARE
“……Una
particolare attenzione va dedicata alla comprensione e alla produzione del
discorso parlato e scritto, in tutta la pluralità di testi possibili, sollecitando
sia l'efficacia della comunicazione sia il controllo della validità delle
argomentazioni. La pratica degli usi funzionali più diversificati della
lingua parlata e scritta significa familiarizzare con i diversi generi di
discorso: un'esperienza da iniziare presto nella scuola di base, ma che andrà
continuata, ripresa e approfondita ai livelli ulteriori. Dunque, un'assoluta
priorità deve essere accordata al "controllo della parola", e in
particolare una nuova enfasi e urgenza va riposta sulla capacità di scrivere
correttamente ed efficacemente in italiano. (Cfr. Documento dei saperi di
base)
“……La tradizione orale e retorica
dell'istruzione e della cultura italiana non sono buone basi per una moderna
educazione. Né lo è l'acritica accettazione delle attuali tendenze
comunicative dei mass media. L'educazione, a qualunque livello, non può
essere basata sul ricalco orale di un concetto o di un'informazione, dentro
un arco di tempo estremamente ridotto. E' necessario andare controcorrente,
ed insistere sul valore insito nelle attività di ricezione-produzione di
lingua scritta, e sull'allenamento mentale che esse comportano…..”. (Cfr.
Documento dei saperi di base)
LE
LINGUE
I popoli s’incontrano, si scontrano, si
confrontano, si mescolano, s’invadono.
Si allargano i confini e si difende la “propria
terra”
Le lingue rendono esplicite le differenze e le
integrazioni
Le lingue narrano i percorsi di cultura e di
civiltà e sono funzionali ai tempi del vissuto dei popoli
E’ tale, oramai, l’integrazione tra le lingue, gli
stili di vita….
La mondialità comunicativa consente l’approccio,
in tempo reale a tutti gli angoli della terra….
E’ necessaria, quindi, una comprensione,
attraverso lo studio delle lingue, delle culture e del vissuto dei popoli; condizione
– questa – che facilita la convivenza pacifica e combatte le incomprensioni e
gli egoismi settari.
LA
STORIA
Non possiamo essere NEUTRALI ma dobbiamo essere
OBIETTIVI
Umiltà nel metodo di ricerca, rigorosi nei
processi di analisi, costanti nello sforzo di indagare
La narrazione storica non esaurisce la conoscenza
storica
La storia presuppone LE STORIE
Un popolo senza la consapevolezza del proprio passato
è condannato a non avere un futuro
La “narrazione”: Per noi la storia –
didatticamente – esige l’analisi storiografica.
I fatti distinti dalle opinioni ma
per avere – poi – una propria opinione sui fatti
LA
GEOGRAFIA
La Geografia e le Geografie
Le Geografie non appartengono tutte alla materia
scolastica di Geografia
La geografia ha in sé, da sempre, tutte le
caratteristiche per sviluppare quella interdisciplinarità nella formazione
culturale delle persone, che la Commissione ministeriale dei 39
"saggi" sembra ricercare. Dal momento che si occupa dello studio di
fenomeni in trasformazione, continuamente modificati da fattori naturali o
dall'intervento umano, essa è inoltre una scienza dinamica, in costante
evoluzione. Muta l'ambiente oggetto di analisi, sotto la pressione di agenti
naturali o per cause provocate artificialmente; l'assetto urbano subisce
cambiamenti di aspetto e di organizzazione; sistemi di comunicazione e
trasporto sempre più evoluti accorciano le distanze effettive tra le varie
parti del mondo e tra i suoi abitanti. Mutano altresì, e si aggiornano
continuamente, i metodi e gli strumenti conoscitivi con cui studiare questi fenomeni.
(Fonte Touring Club Italia)
La
Geografia e le Geografie:
Abbiamo
accennato alla necessità di parlare di geografie più che di geografia.
Abbiamo precisato che questa è una materia d’insegnamento che coinvolge vari
e complessi aspetti della realtà materiale e dell’agire umano.
Spiegare
agli studenti che Geografia significa – ad esempio – politica – statistica –
ecologia – topografia – etnografia – demografia – economia – fenomeni
migratori, ecc., vuol dire impegnare le menti dei giovani nel delicato
problema del rapporto tra l’uomo e la natura, tra gli uomini e la convivenza
tra i popoli, tra l’uomo e i fenomeni di produzione.
LE
SCIENZE UMANE
Acceso è il dibattito, scientifico e didattico,
sulla definizione di Scienze Umane. Prendiamo da fonte Wikipedia una delle possibili
definizioni, solo a titolo indicativo: “Per scienze sociali (dette anche
scienze umane o studi sociali) si intendono l'insieme delle pratiche di
indagine, finalizzate alla comprensione dei fenomeni e degli aspetti
meta-biologici presenti nel comportamento umano, nelle relazioni
interpersonali, nella costruzione dei legami affettivi nello sviluppo della
sessualità, nella produzione di codici culturali e nella formazione di usi,
costumi e tradizioni”.
Tra le Scienze umane, particolare rilevanza hanno
quelle che sono oggetto di studio specifico nella scuola, ad indirizzo
appunto umanistico-sociale: Filosofia, psicologia, pedagogia, sociologia.
E’ indubbio che lo studio di queste materie ha
una forte influenza nella maturazione del pensiero critico dei nostri
giovani, nell’acquisizione di parametri culturali di alto profilo.
E’ anche necessario precisare che le stesse
materie hanno estremo bisogno di uscire dalla riduttiva didattica
dell’apprendimento “per narrazione” per approdare ad un apprendimento per
analisi critica, sistematica e approccio a fonti, oltre che per esercizio
“laboratoriale”.
A
CHE SERVONO LE SCIENZE UMANE
1)
Conoscere l’evoluzione
del pensiero umano attraverso le opere dei maggiori pensatori
2)
Saper affrontare il
problema della complessità del mondo attuale
3)
Dotarsi di competenze
sempre più raffinate nell’analisi del sé, dei processi sociali e delle
relazioni interpersonali
4)
Garantire anche al
mondo del lavoro persone con elevata
flessibilità di pensiero e una forte capacità di adattamento ai cambiamenti.
LE
SCIENZE
La
cultura scientifica costituisce componente indispensabile della formazione di
tutti i cittadini nel mondo contemporaneo dove essa estende la propria sfera
di azione sui fatti che riguardano la vita fino ad inserirsi a fondo nella
sfera dei giudizi di valore. Pertanto in quest’area l’insegnamento delle scienze
deve fornire elementi di fisica, chimica e biologia moderne per inquadrare i
risultati scientifici e le applicazioni tecnologiche più importanti del
ventesimo secolo, la natura dei problemi aperti e le tendenze della ricerca e
mettere in evidenza l’importanza sociale dell’attività scientifica attraverso
la discussione dei rapporti che legano scienza, tecnologia e società. (A
cura delle Associazioni Nazionali per l’ insegnamento delle discipline
scientifiche AIF, DD/SCI e ANISN)
L’EDUCAZIONE
SCIENTIFICA (nel contesto europeo)
“Che cosa è importante che un cittadino
conosca, a cosa è importante che dia valore e che cosa è importante che sia
in grado di fare, in situazioni che
richiedono il ricorso alla scienza e alla tecnologia o che sono in qualche
modo da esse determinate?”
Le
competenze che costituiscono il nucleo centrale della definizione di literacy (alfabetizzazione)
scientifica sono fondamentali per rispondere a questa domanda.
Competenze
della literacy scientifica:
le conoscenze: portano a formulare ipotesi
che conducono a nuove conoscenze;
la comprensione della scienza: intesa come
forma di sapere e d’indagine propria degli esseri umani;
la consapevolezza di come scienza e
tecnologia plasmino il nostro ambiente materiale, intellettuale e culturale;
la volontà di confrontarsi con temi
e problemi legati alle scienze.
L’EDUCAZIONE
SCIENTIFICA (in Italia)
La
scienza, la formazione scientifica diffusa sono un bene pubblico, una
necessità in un Paese moderno alla pari del complesso dei saperi e delle
attività intellettuali di un Paese. La scienza è cultura: altrove si tratta
di una affermazione ovvia, ma nel Paese di Leonardo, Galilei, Enrico Fermi
non sembra esserlo. Perché da noi alcuni non l’anno sconsiderata conoscenza
vera, ma solo parziale, settoriale; e perché nella realtà, nel senso comune
nostro non è apprezzata come bagaglio indispensabile della persona colta.
L’EDUCAZIONE
SCIENTIFICA (in contesti formali e informali)
L’educazione scientifica non può essere
circoscritta solo ad ambienti formali come la scuola/università o i
laboratori di ricerca, la scienza si trasmette anche attraverso l’uso di
ambienti informali.
Il fare scienza in contesti informali sviluppa la
curiosità, l’emozione, il piacere di esplorare i fenomeni naturali e costituisce
un aspetto rilevante nel rapporto con la realtà.
IL METODO
SCIENTIFICO (o indagine scientifica)
L’INDAGINE
SCIENTIFICA
§ Origine
(curiosità, domande scientifiche)
§ Scopo
(produrre dati, idee correnti/modelli/teorie che guidino le indagini)
§ Esperimenti
(progettazione di una ricerca)
§ Tipi di dati
(quantitativi e qualitativi)
§ Misure
(incertezza, precisione degli strumenti)
§ Caratteristiche
dei risultati (provvisori, verificabili, falsificabili)
SPIEGAZIONI
DI CARATTERE SCIENTIFICO
§ Tipi
(ipotesi, teoria, modello, legge)
§ Modi in cui
si formano (rappresentazione dei dati, ruolo delle conoscenze esistenti e
nuovi elementi di prova, creatività, logica)
§ Regole
(coerenti, fondate su dati, collegate alle conoscenze pregresse)
§ Risultati
(nuove conoscenze, nuovi metodi, nuove tecnologie; sviluppare nuove domande e
nuove indagini)
LA
COLLABORAZIONE TRA LE DISCIPLINE
Abbiamo
più volte evidenziato che solo un approccio sistemico e complesso, con la
“collaborazione” tra le discipline e i saperi, rende servizio di conoscenza
alla complessità della società attuale.
Materie
istituzionalmente definite “umanistiche” e materie “scientifiche” concorrono
alla formulazione di quesiti e di risposte ai problemi dell’uomo contemporaneo.
La
parcellizzazione, la frattura o – peggio ancora – la contrapposizione dei
saperi non favorisce un apprendimento orientativo.
LA
BIO-ETICA
Potter
nel 1970 introduce il termine composto di bio-etica. Il significato di questo
termine comprende la complessità della ricerca scientifica congiunta alla
sfera umana. In realtà potremmo associarli ad un equilibrio dinamico,
all’evolversi di un sistema ecologico in cui, tra etica e scienze, si istaura
un flusso/scambio di energia e materia.
LA MATEMATICA
La
matematica risulta lo spauracchio generale degli studenti italiani. E’ molto
probabile che non sia tale la matematica in sé, quanto la materia scolastica.
Il che chiama in causa un certo modo d’insegnare matematica, in particolare,
e le materie scientifiche in generale.
La
domanda più diffusa, tra certi studenti, è: A che serve la matematica?
Se
invece di affidarci alle “formule”, pur necessarie per le strategie procedurali
delle “operazioni matematiche”, partissimo dalle concrete applicazioni,
probabilmente i giovani comprenderebbero che siamo “invasi”, nella nostra
vita quotidiana, di matematicità, di percorsi che la scienza – non
solo quella del “calcolo” – ha sistemato grazie all’indispensabile apporto
della LOGICA.
A
CHE SERVE LA MATEMATICA
La
Matematica è “invasiva”; difatti costituisce il linguaggio delle scienze
sperimentali e sono innumerevoli le sue applicazioni alla Fisica,
all’Astronomia, alla Chimica, all’Ingegneria, all’Informatica, alla Biologia
e all’Economia.
Per
questo motivo il suo studio svolge un ruolo importante e insostituibile nella
formazione del pensiero razionale.
Chi
è abituato allo studio della Matematica è portato ad affrontare qualsiasi
problema (anche di natura non matematica) con intelligenza e logica.
Si
potrebbe dire che la Matematica serve a ogni persona per fare meglio
qualsiasi cosa.
La
Matematica abitua all’onestà intellettuale: nella dimostrazione di un teorema
o nella risoluzione di un problema non si può imbrogliare o barare.(Giovanni
Fiorito, Professore di Analisi Matematica nella Facoltà di Ingegneria
dell’Università di Catania)
LE TECNOLOGIE
La parola viene dal greco techne = arte
(collegato alla poiesis, ovvero alla produzione), che rimanda ad una
radice indoeuropea, tek = tessere, la stessa da cui derivano, tramite il
latino, le parole italiane: testo, tela, testa, testuggine, ecc. Il
passaggio dal greco all’italiano non è lineare e semplice.
In
latino la parola techne è sostituita da ars, artis: una
parola che ha una radice in comune con artus e arma (strumento,
giuntura, articolazione). Di derivazione greca, compare nella lingua
latina solo un raro aggettivo, technicus (maestro di un’arte,
specialista) impiegato da Quintiliano.
Educare
i giovani alla comprensione e all’uso della tecnica e, quindi, delle
tecnologie – con gli “strumenti” correlati – richiede processi educativi e
formativi esigenti.
Quel
che l’uomo ha “costruito” nel corso dei millenni rappresenta lo sforzo
congiunto della ragione e della creatività: la scienza costituisce il tessuto
connettivo di ogni “produzione”
La
scuola insegna ad “usare” gli strumenti che accompagnano l’azione umana ma
non ne diventano “padroni”.
L’uso
degli strumenti (specie quelli tecnologici e informatici) non deve
“impigrire” l’uomo, annullando lo sforzo della ricerca e la fatica delle
procedure di azione e di pensiero, legate agli esigenti percorsi
dell’apprendere per problemi e soluzioni
LA
MANUALITÀ E LA MANIPOLAZIONE
La
scuola italiana predilige il pensiero all’azione con la riduzione della
manualità a ruolo secondario nella formazione delle competenze.
La
dimensione laboratoriale è ridotta e circoscritta ad alcune tipologie di
percorsi formativi.
Occorre,
quindi, riscoprire il raccordo tra pensiero e azione, tra logica e gesto
conseguente
LA
MANUALITÀ E LA MANIPOLAZIONE
Lo
“sperimentalismo” con la manualità creativa, consente il coinvolgimento di
tutta la persona e storicizza ogni passaggio di apprendimento,
personalizzando i processi astratti e “procedurando” le esperienze,
stabilendo un raccordo significativo tra sequenzialità e conseguenzialità.
LA
CORPOREITÀ
E’
un altro aspetto, del sistema formativo e scolastico italiano, che dobbiamo
dichiarare “perdente”. Si ha l’impressione che gli studenti portino a scuola
solo la mente e che il corpo sia solo il tramite di conduzione dell’unico
momento di interesse dei processi formativi
La
stessa “affettività”, l’educazione emotiva – che tanta mediazione svolge tra
razionalità e corporeità – subisce i condizionamenti di quella visione prevalentemente
cerebrale della scuola.
Né
vale dichiarare che l’Educazione Fisica, così come è collocata tra le
materie, svolge il ruolo che le competerebbe se fosse davvero considerata
essenziale.
Ridare
centralità alla PERSONA è compito primario e fondamentale della scuola che
accompagna il giovane lungo tutto l’arco del complesso fenomeno del suo
sviluppo psico-fisico.
Considerare
l’armonica crescita del corpo importante come l’armonica crescita della mente.
Stabilire
rapporti rigorosi tra le varie discipline, soprattutto tra quelle
scientifiche, chiamate in causa dall’insegnamento dell’Educazione Fisica.
“Fare”
Educazione Fisica – con l’esercizio in strutture adeguate, attrezzate e
importanti – didatticamente - come le aule e i laboratori.
Quanto
sia importante e necessaria una nuova visione dell’insegnamento
dell’Educazione Fisica è accertato dalla condizione – tipica della gioventù
d’oggi – di un “uso” distorto del proprio corpo, sottoposto a ritmi di vita
disarticolati, stressanti, irrispettosi dell’equilibrio psico-fisico e, in
alcuni casi, sottoposto a “traumi” pericolosi per lo sviluppo e la salute.
La
conoscenza dell’identità del proprio corpo – grazie allo studio delle materie
scientifiche, della psicologia, oltre che delle discipline sociali e
umanistiche fa sì che il giovane abbia una completa visione del proprio sé,
delle proprie capacità e dei propri limiti: lo sport – praticato con rigore –
è un ottimo antidoto ad ogni forma di “patologia del proprio sé”, condizione
di rischio nella società attuale.
LE
MATERIE DEL PENSIERO E DELLA PSICHE
Sono
argomenti e questioni che esercitano una forte attrattiva nei giovani e, per
la delicatezza della trattazione, richiedono competenze rigorose.
I
giovani, attraverso lo studio di queste discipline, vogliono capire se
stessi, gli altri e il mondo che li circonda.
La
scuola ha il dovere di fornire ai giovani conoscenze stringenti e scientificamente
attestate nel campo, evitando che si facciano strada pericolosi e
dilettanteschi luoghi comuni; conoscenze che coinvolgono lo sviluppo
psico-fisico e aiutano a comprendere il sistema della relazione sociale e
gran parte degli aspetti contenutistici di tante altre discipline
(letteratura – arte – storia – filosofia, ecc.); materie che richiamano in
causa il pensare dell’uomo e il suo atteggiarsi di fronte alla sua storia.
L’EDUCAZIONE
ESTETICA
Educare al senso del “bello”,
saper esprimere un giudizio sull’equilibrio delle
forme,
sapersi cimentare con la creatività,
saper vivere lo spazio tra le cose e delle cose
secondo un equilibrio razional-emotivo, oggettivo-soggettivo;
Conoscere le creazioni artistiche dell’umanità
come testimonianza della civiltà e delle culture dei popoli nel corso dei millenni.
La produzione degli oggetti, nella società
contemporanea, è fortemente condizionata dal mercato; “meravigliare”, “cambiare”,
“uscire dai canoni” sono i parametri della logica della produzione, quindi
dell’”economico”, a tutto danno – talvolta – della qualità estetica e
culturale e con grave danno per l’equilibrio psico-fisico-affettivo dei
giovani.
Combattere la società dell’apparire, combattere il
sottomettersi alle cose in sostituzione dell’essere se stessi.
L’EDUCAZIONE
MUSICALE
«La
musica comprende l’insieme delle arti alle quali presiedono le Muse. Essa racchiude
tutto quello che è necessario all’educazione dello spirito» (Platone)
Tutti
hanno il diritto di sviluppare questa propria creatività e di crescere
insieme a essa. La scuola deve sostenerla ed educarla, deve rispondere a
questo diritto e a questo bisogno che è coerente con i suoi traguardi
formativi. L’esperienza musicale deve pertanto diventare un patrimonio
culturale e umano condiviso da tutti, perché promuove l’integrazione di
diverse componenti, quella logica, quella percettivo-motoria e quella
affettivo-sociale.
Se
poi teniamo presente che la vita dei nostri giovani è “invasa” di musica, di
sonorità – a volte esasperata e non educata – comprendiamo bene quale
responsabilità abbia il sistema formativo che disconosce l’importanza
dell’EDUCAZIONE MUSICALE, ne trascura gli alti elementi culturali e formativi
e favorisca un vuoto pericoloso nell’equilibrio della personalità delle nuove
generazioni.
LE
MATERIE DELLA RELAZIONE ECONOMICA
Se
facciamo appello all’etimologia della parola, ci troviamo di fronte a due
requisiti di base: casa e regola= saper amministrare, mediante le “cose”, il
proprio spazio vitale secondo principi regolatori.
Quanto
sia importante dare ai giovani un’educazione all’uso delle cose – private e
pubbliche – all’uso del danaro, ai comportamenti del dare e dell’avere, è
compito di una corretta educazione.
Le
discipline scolastiche che trattano, quindi, degli aspetti economico-finanziari
di una società complessa, come la nostra, contribuiscono, quindi, non solo a
fornire le conoscenze di base al cittadino su questioni specifiche del
settore ma anche a saper organizzare il suo lavoro, le relazioni sociali e
familiari, la sua sussistenza quotidiana
LE
MATERIE GIURIDICHE
Abbiamo
sempre definito la nostra società come “complessa”; il diritto, le leggi
attraversano fin nelle fibre della società questa delicata condizione e
richiedono, quindi, che la scuola dia il suo contributo con un’istruzione
significativa sul piano delle regole della società e delle sue leggi.
Conoscere
le leggi, saperle interpretare, evidenziare gli aspetti stringenti dei diritti
e dei doveri fa sì che la scuola si assuma il compito di formare l’UOMO e il
CITTADINO, come è richiesto dal suo statuto fondativo.
LA
CULTURA CLASSICA
Rinunciare
alla formazione classica dei nostri giovani significa decidere di fare a
meno, per il futuro, delle radici della nostra cultura e della nostra
civiltà; cultura e civiltà che non ci hanno trasmesso solo testi letterari o
argomenti a carattere umanistico ma hanno assicurato ai posteri il patrimonio
ricco e complesso, di cui dobbiamo andare fieri, in ogni settore dello
scibile, anche scientifico.
Molti
parlano – del Latino, del Greco – come di “lingue morte”.
Una
lingua estinta (o lingua morta) è una lingua che non ha più locutori nativi.
Normalmente ciò avviene quando una lingua è soggetta ad estinzione
linguistica e viene direttamente rimpiazzata da una lingua diversa, ad
esempio il copto sostituito dall'arabo e molte lingue native americane,
sostituite da inglese, francese, spagnolo e portoghese.
Un
uso più controverso del termine lingua morta, si riferisce ad una lingua più
antica che è cambiata significativamente e si è evoluta in un nuovo gruppo
linguistico. (Wikipedia)
Se
quindi, come è il caso del Latino e del Greco, restano alla radice delle
attuali lingue parlate, non possiamo catalogarle tra le lingue morte.
Tra
l’altro a renderle vive e presenti contribuisce quel patrimonio
letterario, filosofico, storico, artistico, archeologico, scientifico,
culturale e di civiltà a cui facevamo riferimento prima.
L’EDUCAZIONE
CIVICA
Dedichiamo
l’ultima parte di questo approfondimento sulla funzione orientante delle
materie a quella che tradizionalmente era chiamata EDUCAZIONE CIVICA.
Seguiamo
le riflessioni di un esperto, GIOVANNI MISSAGLIA: “La discussione sullo
statuto epistemologico dell’Educazione civica è attraversata da contrasti
profondi. Si deve anche considerare che i progetti di riforma di questi
ultimi anni rendono incerto il quadro in cui si inserisce questo dibattito.
Più dei contributi teorici, perciò, è l’osservazione delle pratiche didattiche
dominanti che ci può aiutare a capire il modo in cui questa “disciplina”
viene percepita, rappresentata e pensata tanto dagli studenti che (non
sempre) ne fruiscono quanto dai docenti che (non sempre) la insegnano”.
Sempre
GIOVANNI MISSAGLIA spiega in che cosa debba consistere l’insegnamento:
1.
come conoscenza delle fondamentali strutture sociali
in cui l’individuo è inserito, da quelle più immediate e “concrete” come la
famiglia a quelle più lontane ed “astratte” come lo Stato;
2.
come insieme più o meno organico di conoscenze
storiche e, soprattutto, giuridiche ed economiche;
3.
come insieme di regole di “condotta” per vivere in
comunità.
In
definitiva, secondo un approccio non solo istruttivo ma EDUCATIVO e
FORMATIVO, l’Educazione Civica o alla Cittadinanza dovrebbe mirare – con
azione trasversale di tutti gli insegnamenti e specifica della materia – a:
• generare consapevolezza della propria
condizione personale e sociale, nell’ottica dei DIRITTI e dei DOVERI
• a fare riferimento costante non solo alla società
dei DIRITTI ma anche alla società dei DOVERI
• generare
conoscenza critica delle leggi e delle regole delle comunità di cui si fa
parte come protagonista
• sentirsi ATTORI del buon vivere civile e
sociale con la partecipazione attiva e responsabile alla convivenza sociale
• educare al rispetto di sé e degli altri in
espansione dalla visione del proprio vissuto alla mondialità
• a fare delle proprie esperienze una
condizione di confronto democratico per l’affermarsi della relazione pacifica
e dignitosa degli uomini.
CONDIZIONE
DI PROFILO DEL DOCENTE-FORMATORE
1.
Conosce la materia
2.
E’ motivato alla funzione docente
3.
Ha una cultura di base estesa e flessibile
4.
Sa lavorare in team
5.
Ha competenze psico-pedagogiche
6.
Ha competenze metodologico-didattiche
7.
Ha competenze comunicativo-relazionali
8.
Si aggiorna continuamente
9.
Coltiva la sua persona e la sua personalità
IMPARARE
AD INSEGNARE - INSEGNARE AD IMPARARE
ü Il docente
formatore è preoccupato di imparare ad insegnare adeguando
continuamente il metodo alle esigenze degli alunni e della disciplina
d’insegnamento
ü Il docente
formatore focalizza la comunicazione didattica in equilibrio tra il
rigore disciplinare e le esigenze di apprendimento degli alunni
ü Il docente
formatore si preoccupa soprattutto di trasferire metodo di apprendimento mediante
i contenuti e l’esercizio sui contenuti stessi
IMPARARE
LUNGO L’ARCO DI TUTTA LA VITA
v La
complessità della vita genera complessità e problematicità della conoscenza;
v Le strutture
“solide” del sapere si confrontano continuamente con lo sviluppo aperto e
flessibile della ricerca.
v La
conoscenza è AUTOREVOLE solo quando è partecipata e resa responsabilizzata
con i fruitori.
Fonti consigliate
|
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